Breve sintesi tecnica
di Luca Chiomenti
Approssimativamente 25 anni fa, in occasione della presentazione al pubblico del mio primo importante progetto industriale nel mondo audio, scrivevo: “È nostra convinzione che l’alta fedeltà, negli ultimi 20 anni, sia finita in un vicolo cieco. Si assiste ad una sterile ricerca della perfezione tecnica fine a se stessa. Per troppo tempo è stata proposta un’analisi tesa solo a raggiungere i limiti degli strumenti di misura. Questa scelta ha fatto perdere di vista la funzione stessa di un amplificatore audio: quella di riprodurre segnali musicali attraverso un trasduttore elettroacustico.” A distanza di 25 anni la situazione sembra ancora più confusa. Attualmente è opinione condivisa che le misure normalmente impiegate per verificare un amplificatore audio non abbiano reali corrispondenze con la qualità musicale percepita. Gli audiofili da molti anni rifiutano di considerare le specifiche tecniche ed i test di laboratorio come degli indicatori della effettiva qualità musicale. Cionondimeno, dei risultati strumentali “impeccabili” sembrano essere una condizione indispensabile per qualunque apparecchio venga immesso sul mercato. Non riesco qui a sintetizzare oltre 25 anni di miei studi e ricerche sulle correlazioni tra le sensazioni di ascolto e le misure di laboratorio. Alla base delle mie ricerche ci sono sia esperimenti svolti direttamente, sia centinaia (migliaia) di pagine di bibliografia relative a studi effettuati negli ultimi 80 anni. Spero di riuscire presto a completare un white paper che da tempo sto preparando sull’argomento. Ora vorrei limitarmi a dare qualche cenno ai punti salienti che sono alla base del progetto Riviera. Occorre tornare al principio, alle origini. Un amplificatore audio deve riprodurre il più fedelmente possibile un segnale audio… per un ascoltatore, per un essere umano. Non per degli strumenti di misura. Questo è il punto. È fondamentale: 1) comprendere alcuni aspetti del funzionamento del sistema uditivo umano e, di conseguenza, 2) individuare quali caratteristiche deve avere il segnale riprodotto per l’orecchio e non per un sistema di misura elettronico. Cominciamo con il funzionamento dell’orecchio.
- Numerosi studi hanno verificato che, quando si ascolta un tono puro, all’interno dell’orecchio e specificamente nella coclea, si generano delle armoniche (ovvero della distorsione armonica). Questa non è certo una scoperta nuova. Le prime indagini su questa distorsione risalgono a Fletcher (sì, proprio quello famoso della curva Fletcher-Munson, negli anni ’20); delle analisi più accurate erano state fatte da H.F. Olson (Acoustics, 1947) e poi da molti altri a seguire. È interessante notare quanto elevato sia il livello di distorsione (II armonica) generato dall’orecchio: circa il 10% per pressioni di 90dB (non di 120dB, 90dB!). Per le armoniche di ordine più elevato il livello decresce in proporzione all’ordine dell’armonica e si può arrivare a definire uno spettro di distorsione dell’orecchio. La forma di questo spettro, ovvero della distribuzione di queste armoniche è estremamente importante: c’è una forte predominanza delle armoniche di basso ordine e lo spettro ha un andamento decrescente con la frequenza. Lo spettro poi si modifica in funzione della pressione alla quale si fanno le rilevazioni ma questo punto diventa un po’ troppo complesso per essere discusso in dettaglio qui ora. I punti chiave sono comunque questi: 1) l’orecchio genera al suo interno un elevato livello di armoniche e 2) il sistema uditivo (orecchio+cervello) cancella queste armoniche e si ha la percezione di un suono puro (come l’originale). In altre parole il sistema uditivo è in grado di sopprimere le armoniche che lui stesso genera al suo interno. Interessante, no? Ma non basta, c’è qualcosa di ancora più interessante: il sistema cancella il contributo di “quella” distribuzione di armoniche anche se queste hanno un’origine “esterna”, a patto che la forma della distribuzione venga mantenuta. È logico, se ci si pensa: il sistema è progettato per cancellare una distorsione con quella forma e non è in grado di distinguere se l’origine della distorsione è interna o esterna (ci sono dei fenomeni ben noti in campo musicale relativi a questo comportamento, uno di questi ad esempio è quello della fondamentale mancante). Se invece la distribuzione delle armoniche ha una forma diversa da quella dell’orecchio, il sistema uditivo percepisce le armoniche come suoni diversi e le riconosce. Partendo da questo comportamento, è nostra opinione che un amplificatore che genera uno spettro di distorsione simile a quello dell’orecchio umano risulti estremamente trasparente e pulito all’ascolto, anche se il suo valore misurabile di THD è relativamente elevato.
- Il meccanismo ora menzionato dipende dal livello di pressione acustica. In sintesi, più è alta la pressione acustica, più è alta la distorsione generata dall’orecchio (e quindi accettabile, se ha la giusta forma). Questo ci porta a ritenere preferibili degli amplificatori che presentino un tasso di distorsione monotonicamente crescente con la potenza di uscita.
- Al crescere della pressione acustica, nella distorsione generata dall’orecchio crescono anche le armoniche di ordine più elevato. Questo significa che ai livelli di potenza più elevati si può accettare una quantità un po’ più alta di armoniche di ordine superiore.
- La distorsione “percepibile” dipende, tra le altre cose, da: 1) il rapporto tra i picchi ed il livello medio del segnale; 2) la durata di ciascun picco del segnale. Ci sono studi che dimostrano come la distorsione può raggiungere valori anche molto alti senza che risulti udibile, purché ciò avvenga in picchi di durata sufficientemente breve.
- Il mascheramento è quel ben noto fenomeno per cui un segnale di livello più basso e molto vicino in frequenza ad un segnale di livello più alto risulta non udibile. Questo può portare a ritenere meno importante l’influenza della distorsione di intermodulazione in un amplificatore con una caratteristica di distorsione dove prevalgono le armoniche id basso ordine. Questo effetto sembrerebbe essere ancora più pronunciato se lo spettro di distorsione dell’amplificatore risulta molto simile a quello dell’orecchio umano.
- La controreazione (negative feedback) è la classica tecnica usata per ridurre la THD e migliorare le prestazioni generali di un circuito (THD, IMD, banda passante, rumore ed altro). Sfortunatamente la controreazione riduce le armoniche di basso ordine (meno dannose e più accettabili per il sistema uditivo) molto più di quanto non faccia con quelle di alto ordine. C’è di peggio: elevati tassi di controreazione creano un meccanismo di generazione e “moltiplicazione” di armoniche di elevato ordine (armoniche che il sistema uditivo percepisce come dissonanti e fastidiose). Anche se il livello di queste armoniche di elevato ordine è al di sotto della soglia di udibilità, il meccanismo finisce per generare un “tappeto di rumore” che sembra risultare decisamente sgradito all’orecchio. Tutto questo ci induce ad eliminare il più possibile l’impiego di retroazione (in particolar modo della retroazione totale o overall feedback) ed a cercare di ridurre il suo impiego al minimo.
Partendo da questi principi di base siamo arrivati a definire le caratteristiche tecniche che dovrebbe avere un amplificatore progettato “per” e “dedicato” all’orecchio umano. Gli amplificatori Riviera sono stati ottimizzati solo per quelle misure che hanno dimostrato una effettiva correlazione con i riscontri di ascolto, senza ricercare inutili virtuosismi tecnici. Ci siamo quindi concentrati su questi punti principali.
- Ottimizzazione della distorsione in ampiezza ed in frequenza: la THD non necessariamente deve avere valori estremamente bassi ma deve assolutamente avere un andamento ottimizzato rispetto a quello dell’orecchio. Questo significa predominanza delle armoniche di basso ordine, con una regolare distribuzione in frequenza (il livello delle armoniche deve decrescere al crescere dell’ordine dell’armonica stessa con un rapporto tra le armoniche simile a quello della distorsione intrinseca dell’orecchio). Inoltre il livello della distorsione armonica deve essere monotonicamente crescente in funzione della potenza di uscita. In prossimità della saturazione l’amplificatore deve esibire un clipping morbido e, se possibile, anche in questa zona lo spettro della distorsione dovrebbe mantenere una forma il più simile possibile a quella della distorsione dell’orecchio (o fino al livello più alto possibile prima di perdere la forma ottimale).
- Assenza di retroazione totale (Zero Overall Feedback) ed uso il più possibile contenuto di retroazione locale, per minimizzare gli effetti negativi che questa tecnica porta al risultato sonoro. A nostro avviso questa è la strada migliore per ottenere il comportamento desiderato in termini di distorsione.
- Una buona banda passante anche ad anello aperto.
- Un fattore di smorzamento (Damping Factor) ragionevole, come nei migliori amplificatori a valvole: tra 15 e 20, senza inseguire inutili record. A nostro avviso questa caratteristica contribuisce a restituire articolazione e ricchezza armonica anche nella regione delle basse frequenze.
- Stabilità totale su qualunque carico.
- Assenza di protezioni, per eliminare gli effetti negativi che questi dispositivi hanno sempre sul risultato sonoro e sulla dinamica in particolare.
- Estrema attenzione alla sezione di alimentazione.
Questi punti teorici hanno poi preso forma nel progetto di un apparecchio reale. Ecco dunque come li abbiamo effettivamente implementati.
- La Zero Overall Feedback e l’impiego del minimo possibile di controreazione locale ove strettamente indispensabile. Questo è il punto cardine dal quale si è partiti per ottenere il desiderato comportamento in termini di distorsione e non solo.
- L’impiego della Classe A in tutti gli stadi è stata la prima logica conseguenza: occorreva avere la massima linearità intrinseca negli stadi di amplificazione senza ricorrere a “trucchi”.
- La soluzione ibrida è la conseguenza logica successiva. Il triodo è tuttora il miglior amplificatore di tensione esistente e, soprattutto nella configurazione single ended, offre una forma di distorsione “naturale” estremamente vicina a quella desiderata. Per questo è stato scelto come amplificatore di tensione. I dispositivi a stato solido (in particolare i MOSFet) sono la soluzione migliore quando si devono gestire alta potenza e basse impedenze; se impiegati correttamente ed adeguatamente pilotati, anche loro possono fornire ottimi comportamenti in termini di distorsione. Nella configurazione circuitale adottata offrono inoltre l’impedenza di uscita desiderata.
- A nostro parere le protezioni risultano sempre dannose per il risultato sonoro. Quindi non ci sono protezioni, solo i fusibili di sicurezza sulle alimentazioni. Questo porta come conseguenza la necessità di un dimensionamento realmente generoso, non all’apparenza (vedi condensatori come lattine di coca-cola) ma nei punti realmente importanti e significativi (alimentazione nel suo complesso, trasformatori, dispositivi di potenza). Una conseguenza secondaria ma non trascurabile è la necessità di un dimensionamento meccanico adeguato per il tutto.
- Estrema cura nel progetto della sezione di alimentazione. 2 trasformatori e 5 alimentatori separati. L’alimentazione della sezione a valvole ha un filtro a pigreco ed è stabilizzata (con un MOSFet). Anche nella sezione di alimentazione dello stadio di potenza c’è un filtro a pigreco e l’impiego delle capacità distribuite, una tecnica che utilizzo con soddisfazione da almeno 25 anni: invece di due condensatori grandi-e-lenti, preferisco tanti condensatori piccoli-e-veloci, con gli ultimi messi in estrema prossimità dei dispositivi di potenza.
- Una lunga ed accurata messa a punto sia alle misure sia agli ascolti, con una ottimizzazione che significa un continuo passaggio dalla fase di progetto e banco di misura alla sala di ascolto e viceversa.
- Una realizzazione meccanica e fisica con un livello qualitativo da strumento di laboratorio ed un design che faccia immediatamente capire che si tratta di una creazione interamente Made in Italy.
17 ottobre 2017